

Il progetto prevede la ristrutturazione integrale del piano primo, di un futuro loft immerso nel verde piceno.
La concettualizzazione della prateria nel disegno degli interni ha generato un ambiente dall’aspetto country con dettagli ed inclinazioni industriali cosi da rendere la linea naturalistica esterna, più moderna ed accattivante grazie alle contaminazioni industrial style.
Un “Hard Country” a tutti gli effetti che si materializza, oltre che sul design, anche sullo studio delle cromie che variano dalla gamma di verdi desaturati evocanti atmosfere bucoliche ed equestri, fino ad arrivare alla scala dei grigi e dall’uso di metalli grezzi e corpi illuminanti tipiche dei loft industriali dove il reuse e lo shabby giocano un ruolo essenziale all’aspetto della linea stilistica finale.
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Il progetto del restyling dell’outdoor del relais A Casa da Angelo, immerso nella natura e con una finestra privilegiata sul mare e sul panorama Grottammarese, si concentra principalmente nella riprogettazione degli spazi esterni e del bar a servizio della piscina.
Pur mantenendo uno stile rurale nei materiali, il nuovo volume ideato vuole essere parte integrante della progettazione esterna, così da connettersi con i vialetti, i terrazzamenti e con le pareti verdi che adornano il complesso.
Viene creato un nuovo sistema pedonale che connette i tre livelli del relais:
-il pianoro principale dell’agriturismo e delle camere da letto,
-il livello intermedio della terrazza verde posta sopra al nuovo volume edificato,
-l’ultimo livello più basso che accoglie gli spazi adiacenti alla piscina, spazi di puro relax immersi nel verde, dove il panorama fa da padrone.
I viali di connessione e gli spazi di sosta e ricreazione rappresentati dai pianori verdi vengono sfumati e interconnessi dalle pareti di ingegneria naturalistica e dalle zone cespugliate con essenze arbustive e arboree tipiche della macchia mediterranea.
Gli ulivi preesistenti vengono ri-valorizzati dal sistema del verde di piccola taglia, e dallo studio illuminotecnico che è strutturato per generare zone illuminate e zone d’ombra, quest’ultime importantissime per donare al contesto naturalistico una progettazione moderna, lussuosa, ma pur sempre al servizio del panorama e del contesto naturalistico ospitante il relais.
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La stimolante sfida della progettazione del Caiateam Garden, ci ha permesso di sperimentare una dicotomia stilistica, innestata in un contesto ad alta densità edilizia, con l’intento di creare un’area verde a servizio degli uffici dell’omonima azienda.
Il traguardo è stato quello di realizzare un giardino al piano terra all’interno di un ambito urbano con una forte impronta edilizia, che vada ad ogni ora del giorno ad isolare coloro che godono di tale spazio.
Da quei nasce la dicotomia stilistica di utilizzare corten a taglio laser con grafemi stilizzati, per non rinnegare il contesto e lo stile urbano, abbinato ad un progetto del verde dal gusto orientale e zen.
Il punto cardine del progetto risiede nella fontana al centro del giardino che vuole ricreare il principio del tokonoma e della centralità negli interni giapponesi, insieme alla concettualizzazione del Shishi-odoshi e dello Tsukubai.
In particolare viene ripreso e ri-stilizzato quest’ultimo principio che nella tradizione giapponese era volto a far sì che l’ospite che si accingesse a entrare nella sala da tè fosse pulito sia nel corpo che nella mente, tanto che i maestri allestivano un apposito giardino atto a rilassare lo spirito, mettendo a disposizione una brocca di acqua per lavare le mani.
Come dimostra la filosofia giapponese dello tsukubai, lo specchio d’acqua centrale posto all’ingresso del cuore del nostro giardino vuole pulire l’avventore di qualsiasi stress e contaminazione dello spirito, per donare preziosi minuti di pausa o momenti post-lavorativi di alto design, con un retrogusto di spiritualità orientale.
Il suono dell’acqua che sgorga dalla fontana di corten che riprende il principio del Shishi-odoshi è parte integrante della progettazione, così che la pianificazione uditiva va a completare il trittico sensoriale insieme alla progettazione visiva e olfattiva del Caiateam Garden.
Le silenziose barriere di bamboo, insieme allo studio del light design, attorniano gli spazi isolandoli dal contesto circostante che viene arredato soprattutto nella parte retrostante, dove troviamo un focolaio che permette di generare numerose situazioni di convivialità, ricca emotivamente e sensorialmente, dall’alto livello di design.
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Finalmente svelato il TRAILER del nuovo progetto THE EDGE – Panoramic Luxury House
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The Edge,la villa panoramica di alto lusso che verrà edificata su un crinale nel cuore del Piceno, si presenta come uno spazio meta spaziale, dove l’outdoor si proiettata negli interni generando ambienti di luce e atmosfere con un alto livello di comfort visivo e funzionale.
Il concept del corpo di fabbrica non é stato concepito in modo autoreferenziale e formalmente distinto, ma viene plasmato dello studio degli spazi interni.
Così come la radice concettuale dell’esterno prende vita dallo studio preliminare dell’Interior con la creazione di volumi semplici ma articolati, anche lo spazio interno viene modellato e concepito dai sublimi scenari esterni che vanno a riflettere nei materiali e negli arredi, la semplicità naturalistica mista ad eleganza dei luoghi in cui sorge la Villa.

Lo studio paesaggistico delle aree che circondano l’edificio vuole anche esso far parte dell’atmosferizzazione dell’interno della casa, proiettando le lunghe ombre dei pinus pinea attraverso le ampie vetrate, che riescono anche ad intercettare i riflessi da sud,est e ovest, dei manti erbosi, degli arbusti floreali che mutano il loro colore secondo le stagioni, ma anche dallo specchio d’acqua che riproduce e raddoppia la vista panoramica della verdeggiante valle,moltiplicando in modo infinitamente frattale il Placido benessere sensoriale di The Edge Panoramic Luxury House.
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Nuovo tour virtuale disponibile nella sezione VR.
La Wild Country House sviluppata anche in realtà virtuale per far immergere i committenti nell’opera architettonica, prima ancora di averla costruita.
segui il link: http://dahliastudio.com/portfolio/wild-country-house-vr/
[vieni a testare la realtà virtuale nei nostri studi, ti aspettiamo]
…aspettando il metaverso Meta… https://about.facebook.com/meta/

<… gli architetti raramente leggono: guardano solo immagini seducenti e assorbono slogan…> [Prof. James Stevens Curl_ Prefazione al libro: “Architettura e Demolizione” di Nikos Salingaros]
tendiamo in genere ad allungare troppo i nostri articoli…oggi direi che non c’è altro da aggiungere!
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Cosa si può dire ai fanatici del presente e principale paradigma quando pretendono che noi dovremmo accettare il fatto che il Decostruttivismo sia la contrapposizione al Modernismo, dopo che quest’ultimo ha dominato la scena stilistica architettonica per decenni?
Come pretendono che noi approviamo queste castronerie, quando uno dei fautori del Decostruttivismo è stato lo stesso fondatore del Movimento Moderno (Philips Johnson)?
E’ dura pretendere di creare un modello stilistico innovativo che domini per un altro secolo (dopo il “secolo modernista”) lo scenario architettonico, oltretutto con l’intento di far credere che sia il sostituto invece che l’evoluzione di quest’ultimo.
Il Professore James Stevens Curl nella prefazione al libro “Antiarchitettura e Demolizione” di N. Salingaros, metaforizza il caso del Decostruttivismo con la fiaba danese “I vestiti nuovi dell’imperatore” scrive:
“ … “L’imperatore è nudo” è un vecchio adagio ma, nel triste caso del Decostruttivismo, è assolutamente adatto, dato che questo stile non è veramente nient’altro che modernismo in una nuova veste…”
Al di là del richiamo alla fiaba, il concetto di definire il decostruttivismo come modernismo in una nuova veste, non è solo filosoficamente giusto, ma è sotto i nostri occhi.
Noi a differenza del Prof. Curl vogliamo essere più diretti.
Per capire il concetto, basti spogliare letteralmente la maggior parte delle opere decostruttiviste dei loro involucri, più o meno tecnologici, quel che vedrete nella maggioranza dei casi, è una pura opera modernista; oppure tradurre mentalmente i suggestivi concept che mostrano la generazione formale dell’opera, per notare che il più delle volte quest’ultima nasce da una tipica forma modernista alienata secondo qualche modificatore che ci offrono i numerosi programmi di calcolo tridimensionale.
Andiamo però più a fondo…
Charles Jencks, noto architetto e commentatore architettonico, ha promosso per primo in maniera diretta e senza mezzi termini, l’architettura di Peter Eisenman, Frank Gehry e Daniel Libeskind “Nuovo Paradigma Architettonico”.
Jencks oltre a dire ciò, crea legami tra il decostruttivismo e l’ambito scientifico, tirando in ballo parole come “emersione”, “frattali”e “complessità”, cercando legami (che in appositi articoli approfondiremo) con la scienza, ma che non serve scomodare uno scienziato per reputarli inadatti ai suoi scopi di promozione del nuovo paradigma che di nuovo ha ben poco.
In realtà è noto che gli architetti decostruttivisti abbiano fondato il loro modello su fondamenta fragili, cioè le pseudo-filosofie nichiliste dei filosofi decostruttivisti, su tutti Jacques Derrida.
Tutte le ombre del Decostruttivismo, le approfondiremo in un capitolo a parte, per non andare fuori tema e per non appesantire troppo questa pagina di Journal.
La cosa certa è che siamo sicuri di dire che il Decostruttivismo è il figlio del Modernismo, anche se siamo di fronte ad uno dei pochi casi isolati di un figlio che non riconosca il padre.
Oggi sappiamo benissimo che un prodotto commerciale vende più per la sua confezione che per la qualità del prodotto, allo stesso modo ha operato ed opera oggi il Decostruttivismo, che ha pensato di vendere per nuovo un paradigma, seppur contenente un prodotto ormai raffermo.
Questa tecnica ad esempio si usa oggi per reinserire nel mercato profumi che non hanno avuto successo in passato, rimasti in giacenza, si ridisegna la confezione e il flacone, si fanno passare per nuovi, ma la realtà è che viene venduta sempre la solita roba, che senza quella innovativa apparenza nessuno avrebbe nemmeno guardato.
Noi crediamo che il Modernismo abbia avuto un grande impulso innovatore, seppur mosso da motivi non del tutto inclini ai bisogni dell’uomo e alla natura. Di certo non si può negare la sua forza stilistica, e noi seppur spesso lo critichiamo, non ce la sentiamo di rinnegarlo totalmente come modello, che in alcune situazioni può avere addirittura la sua giusta applicazione. Il decostruttivismo invece, quando è creato come modernismo in una nuova veste, non ha senso di esistere e lessicalmente dovrebbe essere definito al massimo come neo-modernismo.
Per questo reputiamo fandonie tutte quelle storie che ci raccontano gli archistar. Circuire gli ascoltatori ignari e ignoranti quando si è costruita una semplice opera modernista e la si è rivestita con il più strano e costoso involucro che la tecnologia mette a disposizione, non è ne decostruzionismo e nemmeno architettura, quella determinata pratica è solo una truffa ideologica ed economica, all’intelletto e alle tasche dei committenti prima e dei fruitori dell’”opera architettonica” poi.
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Il progetto de “La Granja” nasce con lo scopo di generare una struttura ricettiva di alto comfort e design, pur mantenendo la sua vocazione originaria di fattoria immersa nella campagna fermana.
Lo studio degli interni per cui siamo stati incaricati, è stato ideato disponendo una zona giorno al piano terra e la zona notte al piano primo, avvicinate ad uno straordinario ultimo piano che ospita un’ampia suite con una mini spa a servizio della struttura.
La sala da pranzo e l’area soggiorno che caratterizzano il piano terra sono collegate da una hall che ospita un’elegante scala, che permette la salita ai piani superiori.
Il design è stato progettato con materiali tipici della tradizione rurale, rivisitati ed abbinati con arredi e cromie dal gusto contemporaneo, per donare agli spazi un’anima elegante, senza snaturare l’origine rurale del fabbricato.
Gli ampi camini tipici degli antichi poderi agresti, introducono nel piano terra l’atmosfera e la convivialità di questa nuova realtà ricettiva, che permette di godere di ogni suo spazio fino al secondo piano, dove un’elettrizzante suite abbinata ad un’attrezzatissima mini spa, promettono un soggiorno da sogno in un luogo che purifica il corpo e l’anima, dalla confusione e dagli impegni della contemporaneità!
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Spesso ci troviamo a rigettare ciò che le nostre convinzioni – e soprattutto convenzioni – hanno maturato nel tempo.
Il Nero simbolo del male, della morte e degli ultimi, contrapposto al bianco segno di purezza, divinità e luce!
E se ci stessimo sbagliando?
Cosa ci ha mai spinto a considerare il Nero come qualcosa di negativo?Quando si capirà che tutto è stato invertito?
Quando si comprenderà che se proprio dobbiamo trovare un significato nei colori, è che proprio il Nero quello più adatto a rappresentare il bene, la bontà e il tutto?
Il Nero è il tutto si!
Il tutto perché ingloba l’infinità dei colori dell’iride sotto un unico atto cromatico!
Il bianco al contrario è il vero vuoto la vera assenza di colore… Newton si sbagliava, e Goethe aveva ragione nella sua teoria del colore!

Il Nero poi sarebbe associato al male e il bianco al bene… Il male dispotico e accentratore che si contrappone al bene, accogliente e democratico… Eppure è proprio il bianco se affiancato ad altri colori li spegne accentrando tutto su sé stesso! Al contrario il Nero “accende” le cromie, se affiancato ai colori li valorizza e li rende più luminosi… Volete far “brillare” un oggetto che sia dipinto o fotografato? Non vi sfiancate a rendere la sua superficie più chiara o lucente, ma assicuratevi che l’intorno sia scuro, per contrasto l’oggetto splenderà… e se non è questa generosità cromatica non so cosa lo sia!
Infine ci hanno sempre inculcato che la luce (simbolo di vita e del divino) dovrebbe essere rappresentata dal bianco e l’oscurità dal Nero! Anche questo è stato invertito, in realtà la luce non è bianca (seppur è facile rappresentarla così).
La vera realtà è che il bianco è l’unico colore che tende proprio a respingere la luce. Il Nero al contrario, la luce l’accoglie in tutto il suo spettro cromatico e si fa riscaldare e si nutre di essa.
La verità sui colori non sarà mai completamente sviscerata dall’uomo, poiché la fisica, la chimica e la geometria cromatica sono state e saranno le materie più ardue da comprendere e teorizzare.
Una cosa è però certa e che se i colori potessero parlare, eleggerebbero il Nero come loro unico vero padre da venerare
[Stefano Piccinini]
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Come ciuffi d’erba a Leimert Park, siamo fermi da quasi un secolo vegliando accidiosi sulla carcassa mefitica di quel che resta della Dahlia riconciliatrice di tutte le arti…
L’Architettura dopo un secolo di stasi dogmatica, ripetitiva e meccanica, standardizzata, industrializzata, senza più una minima traccia di arte nelle vene e privata totalmente di uno spirito edonistico, come la Dahlia che grida giustizia, vuole degna sepoltura, vuole risorgere!
La sua anima chiede vendetta verso coloro che con occhiali tondi, sigari fumanti in bocca ed ego da star, seppero cavalcare come delle perfette valchirie, i prodotti più arditi dall’industria, generando il vero ed unico paradigma del XX sec.
Il suo spirito commisera coloro che autodefinendosi iconoclasti , dopo un secolo, continuano a martoriarla, preferendo un modello stilistico tanto sovversivo quanto dannoso, passato e fuori moda.
Johnsoniani, Lecorbuseriani, progettano, copiano e poi rinnegano i loro padri, i loro idoli, cercando di distaccarsi finalmente da essi, senza però il supporto delle idee e soprattutto del buonsenso, con la pervicacia di chi non impara la lezione dal passato.
Le Gabbie culturali sono servite, sono ben salde, le abitiamo credendole loft graziosamente arredati, puri, liliali … e BIANCHI!
Il fondamentalismo geometrico ci ha inglobati, non abbiamo reale identità, siamo una generazione di cloni, partoriti e ammaestrati nelle università gestite anch’esse da cloni.
Rimaniamo ancora fermi come i ciuffi d’erba a Leimert Park mentre la Dahlia continua a morire schiacciata dal prodotto vanaglorioso dei figli e dei nipoti dell’industria, dello standard e dell’onanismo.
Basterebbe poco per liberarci dallo schiavismo ideologico architettonico industriale, e tornare ad essere servi leali della Dahlia.
Basterebbe poco a “ruotare” ed osservare da “differenti posizioni” come gli attuali paradigmi imposti, possano modificare, generando un modello nuovo, sano e che abbia fini adatti alla natura e all’uomo

La Dahlia non sarà più industria, la Dahlia non sarà più standardizzazione ed espressione dell’egotismo dell’ideatore…
La Dahlia risorgerà e sarà la riunificatrice delle arti, rispettando e distaccandosi totalmente dai passati paradigmi, con i soli fini edonistici, alessandrini e biofilici che l’uomo ha sempre abbracciato e per sempre esigerà.
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